Giosuè Meli
Giosuè Meli, scultore, nacque a Luzzana l’8 ottobre 1816, settimo di 10 fratelli, da Gian Antonio e da Lucia Mocchi di Berzo S. Fermo. A soli 16 anni scolpì un Cristo Morto, in legno, che si ammira ancora nella parrocchiale di Luzzana. Andò a scuola da don Francesco Bellini, cappellano e poi parroco di Luzzana. Frequentò la “Scuola d’ornato” all’ Accademia Carrara. Ebbe come maestri Thorwaldsen e Teneràri. All’età di 22 anni perse il padre sulla cui tomba pose un bassorilievo in marmo di Carrara.
Durante gli anni della scuola, inoltre, scolpì nella roccia viva “il Gigante che sostiene la montagna” che porta la data del 1841. Due lettere autografe che Giosuè aveva indirizzato al Canonico Finazzi, una da Luzzana (5.12.1850) e l’altra da Roma (24.1.1851), fanno luce su alcuni particolari della sua vita e sulle sue amicizie. Alla fine del 1850, all’età di 34 anni, abitava a Roma in piazza Lancellotti 6 e aveva in corso le pratiche del suo matrimonio. Chiedeva al Canonico Finazzi un suo interessamento per ottenere dal Vescovo la dispensa dall’impedimento di consanguineità. Avrebbe voluto, al più presto, portare con se, a Roma, la futura moglie. Era legato da vincoli di amicizia non solo con il Canonico Finazzi, ma anche con il Canonico Rusca, con Agostino Caffi, con il Cardinale Altieri e con il Cardinale Angelo Mai.
I giornali di Roma, con a capo L ‘Osservatore Romano, e i più insigni artisti e letterati, tra cui De Santis, hanno dedicato ampio spazio a Giosuè Meli, ritenendolo tra i massimi scultori del suo secolo, perché non si limitò a una servile imitazione della scultura greca, ma creò delle vere opere d’arte, cioè seppe dare ai marmi pensieri ed affetti e, per così dire, movimento e parola. La sua scultura più lodata, in Italia e in Europa, fu la “Madre Pompeiana“, alla cui realizzazione lavorò per oltre sei anni. Rappresenta una donna dell’antica Pompei nel momento dell’eruzione del Vesuvio del 79. La pioggia di pietre e di lapilli la coglie nel sonno. Prende in braccio il suo bambino, gettandosi addosso un lenzuolo, e affannosa e frenetica cerca nell’oscurità della notte, con la fuga, uno scampo. Fu acquistata da un ricco Lord inglese, Mitchell Hanry, che costruì appositamente una sala per collocarla.
Giosuè è, ancora, autore di un “Battista dormiente”, raffigurante un garzoncello leggiadrissimo nell’atto di stringere al seno un agnello, di una statua graziosissima dell’Innocenza e quella di una pudica “fanciulla che accarezza una cicogna”. Acquistò, inoltre, una fama ancora più grande con il monumento a S. Francesca Romana, posto nella chiesa omonima ai Fori Imperiali.
Nel 1649 papa Urbano VIII aveva commissionato a Bernini un monumento alla santa romana. In un’edicola a marmi policromi sorretta da quattro colonne di diaspro era stato posto il gruppo berniniano di bronzo dorato raffigurante la santa. Durante la dominazione francese il gruppo fu trafugato. Suor Maria Pallavicini, in morte, lasciò una forte somma per il ripristino dell’opera.
Il Cardinal Mattei, esecutore testamentario della Pallavicini, commissionò i lavori al “valente scultore Giosuè Meli”. Francesco Checcucci giudicò quest’opera maestosa, viva e parlante. Un’altra sua opera mirabile, che gli costò sette anni di fatiche, è il “Cristo legato alla colonna” statua semicolossale (alta m. 3,30) che Pio IX volle nel santuario della Scala Santa. La mano maestra del Meli, qui, seppe incarnare il dolore, unire all’umano il soffrire divino. Un dizionario francese ci informa che all’Hotel S. Francesca in Roma c’è pure un gruppo marmoreo del Meli. Bergamo conserva due suoi busti, uno, nell’ Ateneo di Antonio Piccinelli, l’altro, nella Biblioteca Civica A. Mai, di A. Barca. Luzzana, oltre al “Cristo morto”, di cui si è già detto, conserva una statuetta del “Redentore”, in marmo di Carrara, una acquasantiera e una simpatia grande per il concittadino che ha reso famoso, nel mondo, il piccolo paese di Luzzana.
Giosuè Meli morì a Roma nel 1893 .