Il Castello Giovanelli

Il Castello Giovanelli

L’ edificio di maggior rilievo a Luzzana è il castello.

I resti delle primitive strutture, (la torre, il portale ad arco acuto, alcuni particolari del muro esterno del lato nord, la porticina ad arco tondo sulla sinistra dell’atrio d’ingresso, l’altra porticina d’ingresso alla torre nel sottotetto e due finestrelle nella prigione della torre), fanno risalire, con attendibilità, la costruzione del castello alla fine del sec. XIII. Verso la fine del 1500, questo vecchio maniero fu trasformato in abitazione civile dai conti Giovanelli.

Un secondo ampliamento fu messo in opera nella seconda metà del 1700, in concomitanza con la costruzione del Palazzo del Patriarca.
A 50 metri dal lato occidentale del castello, sorge il fortilizio. A metà del 1700 erano ancora ben visibili le merlature, di tipo ghibellino, sulle mura perimetrali. Sul lato nord si innalza un massiccio torrione. Da uno scantinato adiacente alla torre dei passeri parte una galleria ad arco abbassato che sbuca sotto il cavalcavia di via del Castello.

 

Famiglia Giovannelli

FAMIGLIA GIOVANELLI  (secc. XIII-XX) | IL CASTELLO GIOVANELLI – Biblioteca Angelo Maj – Bergamo

Celebre casata di mercanti lanieri originari di Gandino, i Giovanelli dominarono per secoli il commercio della lana e dei panni nella val Gandino. Per necessità di commercio alcuni rami si trasferirono nel Trentino, a Venezia, a Jesi, ad Ancona e in Ungheria; dopo la nobiltà bergamasca acquisita nel 1358, dal XVI secolo la casata fu decorata della nobiltà imperiale per i servizi prestati sotto le bandiere dell’imperatore con funzioni militari. Il ramo più illustre fu quello che, ascritto nel 1668 al patriziato veneto, ottenne numerosi feudi, il rango di conti del Sacro romano impero e la dignità magnatizia in Ungheria, dove possedeva vaste proprietà, e infine il titolo di principi dell’impero austriaco. I Giovanelli possedevano estesissimi beni e terre feudali in val Gandino, in val Cavallina e nella pianura bergamasca, nel Veneto, a cui si aggiungevano beni in Austria e nel Trentino.

L’archivio è formato da 504 faldoni e registri che conservano documentazione dal XII al XX secolo, e soprattutto del XVII secolo, quando la famiglia raggiunse l’apice della floridezza economica.
Benché non inventariato, è comunque possibile individuare all’interno dell’archivio varie sezioni, divise in base alle aree geografiche delle proprietà fondiarie (Bergamo, Brescia, Caldaro, Castel di Pietra, Padova, Polesine, Telvana, Treviso, Venezia, Vicenza), a loro volta normalmente suddivise nelle voci acquisti, affittanze, affrancazioni, estimi, convenzioni, inventari, livelli attivi e passivi, privilegi, vendite.
Si segnala la presenza di vari gruppi di lettere di cui non si conoscono ancora né consistenza nè datazione.
Una parte dell’archivio è corredata da inventari settecenteschi, che però non sono più utilizzabili.

All’interno dell’archivio Giovanelli è presente un fondo separato, quello delle carte Martinengo Colleoni. La Biblioteca ha acquistato l’archivio Giovanelli (comprensivo del fondo Martinengo-Colleoni) nel 1934 dall’antiquario veneziano Pino Spica. Alla fine degli anni Settanta del Novecento la Biblioteca acquistò delle “carte Giovanelli”, non ancora inventariate, la cui consistenza è di una busta.

Inventari

L’archivio Giovanelli e le “carte Giovanelli” non sono dotati di inventario. Per la parte relativa alle proprietà nel territorio bergamasco, è disponibile in copia un vecchio inventario sommario (consultabile in Salone Furietti, segnatura: Ar 34).
Una parte dell’archivio Giovanelli è corredata da inventari sommari settecenteschi, che però non sono più utilizzabili.
Archivio Giovanelli: fondo Martinengo Colleoni. Inventario con note introduttive (qui consultabile), Progetto Archidata, 1999 (consultabile in Salone Furietti, segnatura: Ar 35).

Bibliografia: Cesare Bizioli, Gruppo di famiglia in un museo, “Il Giornale di Bergamo oggi”, 25 aprile 1986, p. 3; Archivio Giovanelli: fondo Martinengo-Colleoni. Inventario, Progetto Archidata, stampa da computer, gennaio 1990.

 

Approfondimento storico

 

In Luzzana avvi col nome di Castello un palazzo da villa con adiacente giardino della illustre Patrizia Veneta famiglia de’ baroni Giovanelli, proprietari di estesissimi fondi anche in questo villaggio.

Così Giovanni Maironi da Ponte, nel suo famoso “Dizionario Odeporico”, descrive la presenza architettonica di maggior rilievo, sia storico che ambientale, del territorio di Luzzana.

La definizione “Castello”, che sarà comunque utilizzata in questo breve testo per definire il solo fabbricato turrito, è impropria e sicuramente riduttiva – come peraltro già traspare dallo scritto del Maironi – in quanto, più che un singolo edificio ben definito nella sagoma e nell’aspetto, l’ex proprietà Giovanelli si articolava, distribuita su un pianoro a mezza costa del fianco destro della valle, in una serie di edifici a corte, alcuni rurali, i fabbricati definiti del “Barbino” e del “Molendino”, altri, il Castello ed il caseggiato del Patriarca, residenziali.

L’ origine militare del manufatto è testimoniata sia dall’impianto architettonico, che ne indica la primitiva funzione difensiva e di controllo – la posizione riguardo all’idrografia e l’orografia della valle e le vie di traffico, l’organizzazione dei corpi di fabbrica, la tessitura muraria di alcuni partiti strutturali – sia per la presenza di elementi oggettivi di datazione – la chiave di volta dell’arco a sesto acuto nell’androne d’ingresso porta incisa una data che oggi appare leggibile solo per le prime tre cifre 1, 2 e 9, – e sia infine per la costanza con la quale il toponimo ricorre in mappe e cabrei fin dall’epoca in cui la trasformazione in villa – per rifarci al testo del Maironi – era già da tempo avvenuta.

L’entrata sul fronte Ovest, rivolta verso l’abitato, è preceduta da un fossato, oggi asciutto, ma un tempo alimentato dal torrente che lambisce l’ala orientale del complesso.

L’ingresso è scandito da un portale in conci di pietra a tutto sesto, è coperto, come i locali laterali, da una volta a specchio con lunette e immette al primo livello, definito da una volta a botte, del corpo della torre, che presenta, nella parte più alta, aperture arcuate e binate in pietra di Sarnico.

Proseguendo, sempre al piano terreno, si accede ad un porticato a quattro arcate con colonne di arenaria di ordine tuscanico, contenuto in un corpo di fabbrica con caratteristiche costruttive simili al precedente.

In fondo al porticato vi è una scala a doppia rampa in pietra di Sarnico che conduce al piano superiore, mentre a Sud si apre la corte interna.

Il corpo che chiude il cortile ad Est porta incisa su una volta a specchio con lunette del piano terreno la data ” 1637″ in cifre romane.

La corte così definita è chiusa a valle da un muro di pietra, disegnato da due finestre con cornici in arenaria e grata in ferro, concluso in sommità da tre pinnacoli.
Il primo riferimento al Castello è contenuto in un documento datato 16 giugno 1510 e conservato presso l’ Archivio Parrocchiale di Luzzana.

La descrizione dei beni di proprietà del Parroco Ambrosi, redatta da Lorenzo di Bettino da Terzo, registra, come confinante della casa parrocchiale, la presenza in Luzzana di “una pezia terre aratorie et vidata… possessa per sacerdotes pred. e ecclesie S.ti Bernardini ubi d.tur sub castro… cui coheret a mane strata pub.ca… et in parte heredus Jò Togni a sero via pub.ca, et in parte muneris fortalitij at Luxana, et a montibus valzellus castri,… possidetur p. d. Gualtierius de Georgis “.
Un successivo manoscritto, datato 10 luglio 1525, riporta: “…Malatesta Suardo han una peza de terra de perteges 300… con sue stanzie “.

Dal documento si potrebbe ipotizzare che un terreno così vasto e con locali di pertinenza del Padrò non possa riferirsi ad altro che al nucleo del Castello.
Una parziale conferma a questa ipotesi è contenuta nella polizza d’estimo, datata 4 dicembre 1537, dalla quale risulta che Madonna Maria Elisabeth di Malatesta Suardo è proprietaria di: “…uno cortillo solerato et copato et porticato con uno orto … item doi altri corpi de casa con uno torchio et uno broletto de perteges l … item uno casamento in castello copato et solerato con più corpi de casa et una columbera “.

La laconicità di queste polizze, oltre a confermare il toponimo Castello, ci informa comunque con esattezza riguardo alla presenza nel complesso di una torre colombaia e di un torchio.
La prima immagine del Castello giunge nei primi anni del XVII secolo ed è contenuta nella Crocifissione di Francesco Zucco, conservata presso la Chiesa Parrocchiale di Luzzana.

Sullo sfondo del dipinto, datato 1618, alle spalle della croce e compreso tra i volti di S.Bernardino e di un Vescovo (S.Ludovico ?), appare il complesso del Castello.

Il dipinto, che ci fornisce una visione di scorcio dell’isolato, è di facile lettura per quanto riguarda la composizione dei volumi, ma meno per i dettagli architettonici, e descrive una serie di corpi di differente altezza, disposti su due piani, affacciati a valle e coperti da un tetto a doppia falda.
Sull’ isolato spiccano due costruzioni a pianta quadrata, ingentilite entrambe da un esile cornice marcapiano: una di colore chiaro e con copertura a quattro falde – forse individuabile come la columbera descritta nella polizza d’estimo del 1537 -, l’altra,

retrostante, è cinerea, ha una copertura a due falde ed è disegnata, su entrambi i fronti cuspidato, da tocchi di colore più scuro che si possono interpretare come grosse aperture.

Successivamente a questa data il Castello è interessato da almeno due interventi edilizi: il primo testimoniato dalla data 1637 incisa sulla volta al piano terra del corpo Est, il secondo dall’iscrizione G.P. 1666 scolpita sull’architrave della portina che conduce all’esterno del medesimo corpo.
Un contributo fondamentale per ricostruire la composizione dell’ex proprietà Giovanelli alla fine del XVII secolo ci viene fornito da un cabreo di autore ignoto del 1684.

Si tratta di una planimetria acquarellata di grande interesse in quanto individua un punto fermo nell’annosa e difficile opera di datazione della trasformazione barocca del complesso.
Il nucleo urbano, all’epoca, è già scenograficamente articolato attorno alI’asse disegnato dalla grande corte principale, dalla doppia scalinata a due rampe e dal percorso a gradoni che conduce all’ingresso monumentale posto lungo la strada di fondovalle; sulla destra troviamo il Castello, sulla sinistra e sullo sfondo il caseggiato del Patriarca ed i corpi rurali del Molendino e del Barbino.
Il Castello, che è delimitato ad occidente dal fossato, si articola in un doppio androne, in un corpo porticato a quattro archi ed in due ali di fabbrica protese verso valle: a corpo doppio quella a occidente, a corpo semplice quella a levante.
Non è possibile affermare nulla di più preciso per quanto riguarda l’effettiva altezza e conformazione dei fabbricati; comunque appare emblematico come non si possano riscontrare sostanziali differenze – se si escludono i più recenti interventi di partizione interna – nella distribuzione degli spazi al piano terra tra questo documento della fine del XVII secolo e la situazione attuale.
Nei corpi rurali invece ricorre la presenza, già segnalata nel già descritto documento del 1537, del torchio e della torre colombaia.
La mappa di Giovan Basini del luglio 1697 non porta sostanziali contributi alla conoscenza della storia del complesso, ma si limita a confermare, in una scala molto ridotta e adeguata al censimento territoriale delle proprietà possedute dai Nobili Giovanelli in Luzzana, l’esatta distribuzione a corte dei diversi corpi di fabbrica.
Sicuramente di maggiore interesse sono la planimetria e l’alzato redatti dall’ Agrimensore Pietro Antonio Ferrari di Gandino e datati 21 agosto 1756.

Si tratta del rilievo del caseggiato del Patriarca e del terreno di pertinenza.

I disegni acquarellati riportano, con grande dovizia, la distribuzione dei locali del piano terreno, senza tuttavia indicarne la destinazione d’ uso, mentre le coltivazioni attivate nel brolo sono rappresentate secondo un preciso schema iconografico.

I disegni confermano comunque l’esistenza del percorso a gradoni che conduce al complesso dalla strada di fondovalle, la scalinata monumentale e l’ampia corte compresa tra il Castello ed il caseggiato del Patriarca.

Sempre di Pietro Antonio Ferrari è la planimetria, con vista assonometrica del Castello, datata 19 dicembre 1765.

La tavola è acquarellata come la precedente, riporta le coltivazioni del brolo e rappresenta la pianta del piano terra dell’edificio.

Rispetto al cabreo del 1684 non si rilevano particolari differenze nella distribuzione e nella definizione degli ambienti: è significativa l’assenza della scala che conduce al piano seminterrato del corpo Ovest e risulta meglio definita, dalle spalle delle aperture ad arco del doppio androne, la presenza dell’ impianto medievale della torre.

Di difficile interpretazione appare invece “la Veduta del Castello di Lusana”, in quanto il disegno presenta uno stato di fatto anomalo rispetto ai documenti fin qui esposti, ad altri che esporremo in seguito ed alla situazione attuale.

II principale contrasto sta nell’assenza dello sporto della torre dalla copertura del corpo occidentale, elemento architettonico già documentato nel dipinto di Francesco Zucco, oggi esistente e oggetto di differente datazione da parte di recenti contributi a stampa.

Inoltre l’alzato non corrisponde esattamente alla planimetria.

Due sono le differenze sostanziali: l’androne ed il porticato in pianta sono allineati, mentre nell’alzato risultano inspiegabilmente fuori asse ed il corpo d’ ingresso non disegna con quello porticato una risega -come peraltro già ben registrato nel cabreo ‘600sco – bensì configura una” U ” perfetta.

Confrontando la Veduta con la situazione attuale riscontriamo importanti differenze: il corpo orientale è oggi più basso e la testata a valle è scandita da quattro finestre contro le sole due oggi esistenti; la copertura dei due bracci dell’impianto a corte è nel rilievo a due falde mentre attualmente è a padiglione; inoltre, rispetto alla situazione attuale, non corrisponde il disegno del portale d’ingresso, il numero delle finestre del sopraportico, la finestrella del seminterrato del corpo occidentale e le aperture del sottotetto del corpo porticato.

Mentre per alcune delle differenze riscontrate si può ipotizzare l’errore o la scarsa perizia del rilevatore appare comunque arduo immaginare che questi abbia dimenticato una presenza tanto evidente quale è quella della torre.

Su tale questione un ulteriore contributo ci è offerto dalla porzione di affresco, raffigurante il complesso Giovanelli, non datato, ma presumibilmente dello stesso periodo dei documenti precedentemente citati, strappato e restaurato nel febbraio del 1982 dal presbiterio della vecchia Chiesa Parrocchiale.

II dipinto, di autore ignoto e con ogni probabilità immediatamente successivo alla ristrutturazione -avvenuta a metà del XVIII secolo – dell’edificio sacro, restituisce una veduta del Castello assolutamente fedele a quella riscontrabile ai nostri giorni.

II Complesso è visto frontalmente sull’asse di accesso dalla strada di fondovalle e riporta con precisione i volumi architettonici nelle rispettive proporzioni ed in particolare registra lo sporto della torretta, contraddistinta in facciata da due aperture affiancate e, come effettivamente riscontrabile in realtà, leggermente ruotata rispetto al corpo porticato.

Nel XIX secolo il Castello subisce una seconda decisiva trasformazione: cessa di essere una delle residenze dei Nobili Giovanelli e viene utilizzato come fabbricato rurale. Fondamentale mutazione nella destinazione d’uso che avvierà il suo lento, inarrestabile e progressivo abbandono.

Tornando per un istante alla fine del XVIII secolo ed in particolare alla visita pastorale compiuta da Mons. Giampaolo Dolfin nel settembre 1780 che “Dopo pranzo visitò la casa dei nobili Giovanelli (sic). ..” ed alla breve descrizione del Castello contenuta nel Dizionario Odeporico del 1820, definito palazzo da villa, non è arduo ipotizzare che proprio nell’arco di tempo compreso tra la visita del Maironi da Ponte e l’Unità d’Italia, o forse proprio l’11 novembre 1852 – data d’inizio della fittanza, della durata di tre lustri, del “Tenimento di VaI Cavallina” al Sig. Pietro Testa – si possa dare inizio alla nuova veste “rurale” del Castello, perché tale è infatti l’immagine che se ne ricava dalla lettura degli inventari di consegna redatti per conto dei Nobili Veneziani nel XIX e nel XX secolo.

Se da un lato infatti le planimetrie catastali del 1843/53 confermano, a scala urbana, lo stato di fatto già definito alla metà del secolo precedente, i registri classificano il Castello come Casa altre volte di villeggiatura ora per azienda rurale di proprietà dei Conti Andrea e Pietro Francesco Giovanelli fratelli di fu Giuseppe.

Fino ad oggi sono noti quattro inventari di consegna del Tenimento di Val Cavallina dei Giovanelli che corrispondono ad altrettanti rilievi effettuati rispettivamente nei mesi di ottobre e novembre 1867, nel dicembre 1885 e gennaio 1886, nel marzo e aprile 1904 e nell’aprile de 1916.

Le descrizioni dei fabbricati del Castello, del Patriarca, del Barbino e del Molendino sono molto dettagliate.

Di ogni locale è specificata la destinazione d’uso, il tipo di copertura e di pavimentazione, le finiture architettoniche, i materiali da costruzione ed il loro specifico degrado e la presenza di particolari elementi di arredo fisso quali: camini, vasche d’acqua, mangiatoie per animali, etc.

L’ atto di consegna rogato il 12 dicembre 1867 dal Notaio Giacomo Grasseni di Seriate riporta i rilievi eseguiti nei mesi di ottobre e novembre del medesimo anno dall’ing. Alessandro Cantaluppi, indica come proprietari del Castello S. E. il Principe Senatore Giuseppe Giovanelli e la mamma Maria Buri e come affittuari i Signori Giuseppe e Pietro Grasseni fu Bernardo e Bernardo e Pietro Grasseni fu Giovanni Battista. Il documento scandisce al contempo il termine dei tre lustri di locazione al sig. Pietro Testa e l’inizio di un secondo periodo di affitto, della durata di diciotto anni, iniziato l’11 novembre 1867.

L’ing. Alessandro Cantaluppi descrive lucidamente, in undici pagine manoscritte, l’esatta consistenza del Castello, confermando una trasformazione iniziata certamente molto tempo prima e della quale i materiali, le pietre lavorate e i partiti decorativi del Castello cominciano a registrarne gli effetti.

Il suolo del portico e di altri locali del piano terreno viene definito frantumato, mentre alcune finestre hanno serramenti logori.

I balconi del corpo occidentale vengono descritti: “finestra a poggiolo intelarata di vivo con architrave sagomato, parapetto di colonnette e scosso di vivo… “, mentre sulla corte si affacciano, compresi nell’ala orientale, una stalla ed un porcile.

Nell’inverno 1885-86 l’ing. Marcello Casiraghi svolge una seconda stima degli ambienti del Castello.

Nel corso del nuovo rilievo molti locali, sia al piano terra che al primo piano, risultano con suolo di cotto frantumato e numerose finestre hanno serramenti a volte definiti grami, altre gramissimi, altre ancora cadenti.

I balconi vengono descritti ora con “fondo su due mensole, parapetto con colonnette e scosso sagomato, il tutto di vivo vecchio e sconnesso”, mentre all’interno della corte si trovano “due pollai e un sito di latrina”.

Un’ulteriore conferma del Castello come frazionata residenza rurale ci proviene dalla destinazione d’uso dei locali al piano terreno: su 17 spazi registrati dall’ing. Casiraghi, oltre all’andito, al portico ed alla corte, troviamo: 4 cucine, 3 stanze definite luogo terreno, saletta e galleria, 3 vani scala, 3 stalle ed 1 porcile.

Negli anni di gestione del Castello da parte dei Grasseni lo stato di conservazione del manufatto ed in particolare dei materiali di finitura viene via via peggiorando.

Nei rilievi de 1916, data dell’ultimo inventario di consegna in nostro possesso, il portico viene descritto con “suolo di cotto frantumatissimo… con colonne con base e capitelli sagomati di vivo, (corrosi alla base)… pareti riboccate e scrostate, il muro di cinta della corte è coperto di lastre di vivo, vecchie e sfaldate…, nel qual muro vi sono due finestre intelerate di vivo pure sfaldato, con architrave di cotto pure sconnesso…, con sottogrondio di cotto frantumato ” , inoltre, per la prima volta, si accenna al degrado delle arenarie della torretta che vengono descritte “ad arco intelerate di vivo a bugne, con parapetto formato di base, colonnette e cappello sagomati, il tutto sfaldato, in parte corrosi”.

Abbondano in questa stima termini quali gramissimo, spezzato, corroso e rotto a testimoniare della modesta importanza data al Castello in questo periodo storico ed alla conseguente mancanza delle più ordinarie opere di manutenzione dei pregiati apparati decorativi.

E’ curioso infine segnalare come una delle cucine individuate nell’inventario del 1885/86 viene ora registrata come scuola.

Le quattro minuziose descrizioni, riviste alla luce dei più recenti rilievi, se da un lato testimoniano il grave stato di abbandono in cui è stato costretto per diversi anni il complesso, dall’altro ci permettono di affermare che anche molti dei materiali di finitura del Castello – serramenti, pavimenti in cotto ed in pietra ed intonaci -, oltre ovviamente alle strutture verticali ed agli orizzontamenti, sono gli stessi della Casa di villeggiatura dei Giovanelli, abbandonata all’inizio del XIX secolo, e forse risalgono all’epoca della stessa trasformazione barocca del complesso.

Nei primi anni del XX secolo viene sostituita la copertura a volta del locale al piano terra, adiacente allo scalone in arenaria, e compreso nel braccio orientale con una volterrana.

Luigi Angelini, lavorando ad un testo sui Castelli del circondario di Trescore, visita il complesso nel 1944 e ne esegue un interessante rilievo del piano terra definendo i partiti architettonici con misurazioni di massima e registrando murature e coperture a volta. Poi, alla luce di un’osservazione diretta delle strutture e degli apparati decorativi del manufatto, senza alcun riscontro d’archivio e lamentando l’assoluta mancanza di notizie storiche, ipotizza una cronologia costruttiva che individua nella torre e nella porzione a monte del corpo porticato le parti medievali del complesso.

In particolare la datazione fornita per il sopralzo della torretta è stata parzialmente confutata da un recente studio di G. Colmuto Zanella, ma tale ipotesi, se rivista alla luce dei più recenti rinvenimenti qui presentati, si può forse ritenere non del tutto errata.

E’ da segnalare comunque il fatto che nel corso della visita l’ Angelini si fa trarre in inganno dal modesto aspetto del braccio orientale probabilmente ancora destinato a stalle e pollai non ne esegue il rilievo, ma si limita a registrarlo come “parte rustica ” del XIX secolo.

Come già detto in precedenza il braccio ovest è invece caratterizzato da due date -1637 e 1666 – incise sull’unica volta rimasta, e sull’architrave di una porta.

Oltre a ciò, senza peraltro voler disconoscere l’indubbio valore del rilievo di Luigi Angelini, va registrata la dimenticanza della scala, interna al corpo Ovest, che conduce ai locali seminterrati.

Dal secondo dopoguerra ad oggi il Castello non ha subito modifiche nei partiti strutturali, bensì è stato caratterizzato da una serie di interventi privi della più elementare attenzione nei confronti del manufatto, che avevano presumibilmente il solo scopo di trarre dal complesso un beneficio economico attraverso l’ affitto a villeggianti dei locali rimasti liberi. In particolare gli ampi spazi voltati del piano terra sono stati suddivisi da setti in laterizio e sono stati ricavati, sempre in maniera del tutto casuale, diversi servizi igienici.

Benché da diversi anni la destinazione d’uso del Castello sia ritornata, almeno in parte, quella residenziale, gli interventi di manutenzione hanno continuato ad essere limitati alle strutture ed agli impianti tecnici di servizio. Al contrario gli elementi decorativi ed in particolare le delicate pietre di Sarnico – partito fondamentale nella trasformazione barocca del complesso e già segnalate in precarie condizioni nell’ inventario di consegna di inizio secolo – hanno subito un progressivo quanto rapido degrado che ne sta seriamente compromettendo la stessa sopravvivenza come testimonianza storica.

In conclusione si può affermare che se un primo spoglio dei fondi archivistici delle proprietà Giovanelli ha fornito una importante serie di riferimenti cronologici per la determinazione della fortuna critica del complesso, rimane comunque ancora molto da ricercare per sciogliere definitivamente le residue incertezze sull’esatta cronologia del Castello di Luzzana.

Tratto dal volume:
Il Castello di Luzzana
Studi e ricerche sull’ex proprietà Giovanelli 1992
A cura di Gualtiero Oberti