Porta delle redenzione
La Porta della Redenzione, pensata e preparata nel 1999, realizzata per la Chiesa parrocchiale di Lizzola in occasione del Giubileo del 2000, è opera dello scultore Alberto Meli.
Offerta alla comunità di Lizzola, è la celebrazione dell’amore di Dio nei confronti degli uomini attraverso Gesù. Vuole essere, all’inizio del nuovo millennio, espressione di bellezza, fruibile da tutti e che, espandendosi nel tempo, diventi dono anche per le persone che si alterneranno nei secoli futuri, inno permanente alla gratuità e pressante invito profetico a renderla distintivo della nuova umanità.
La struttura della porta è caratterizzata da forme bronzee tondeggianti e squadrate, che si integrano reciprocamente. Sei rilievi con effetti a tuttotondo, incorniciati e fissati in uno spazio umano, quello della porta, racchiudono le intuizioni dello spirito dell’artista, e diventano per tutti un’itinerario di contemplazione e di meditazione.
Lo stile astratto e simbolico, non immediatamente leggibile, si affida alla sensazione complessiva dell’osservatore che, dopo un attimo di sorpresa, se non si lascia prendere dall’affanno di capire, sfocia in un sentimento di appagamento che lo accompagna a dire con stupore: “È bella, mi piace”. L’emozione piacevole, infatti, è un dono gratuito dello spirito, che non ha bisogno di spiegazioni. C’è e basta. Il godimento estetico, anticipando ogni forma di razionalizzazione, riconduce all’istintività originale dello stato puro dell’essere. È solo il momento dell’interiorizzazione consapevole e dell’approfondimento attento, che attiva la riflessione e il desiderio di comprendere.
L’emozione iniziale può essere sufficiente da sola, non ha bisogno d’altro poiché già è completa in sé può diventare pure, per la curiosità che suscita, premessa all’itinerario interpretativo dei simboli. L’orizzonte di riferimento entro il quale muoversi è quello del simbolismo universale che spinge nella dimensione trascendente, quella divina, rappresentata dal cerchio e dalla sfera. Il cerchio innanzi tutto delimita uno spazio i cui punti sono equidistanti dal centro, rappresentando l’equilibrio cosmico, l’armonia del divino. Il cerchio non ha ne un inizio, ne una fine; ogni suo punto è inizio e fine. È espressione, pertanto, dell’eternità, della totalità cosmica. Il quadrato, racchiudendo uno spazio limitato, richiama la terra e la temporalità, la finitezza e l’imperfezione dell’uomo.
Lo spazio umano squadrato contiene la Rivelazione divina tondeggiante attraverso un linguaggio essenziale, efficace e vero. La porta è trasposizione e immagine del grande Libro sacro, la Scrittura e rappresenta la sintesi della Bibbia, Parola di Dio in linguaggio umano. La parola è stata scritta da uomini, con la loro cultura e il loro modo di intendere le cose. Dio, riconoscendosi in questa parola umana, l’ha fatta propria e trasformata in Parola di Dio. Ogni riquadro della porta rimanda a una pagina della Bibbia in cui Dio racconta la verità sull’uomo, sul mondo e il suo progetto di salvarli. Le sei formelle tonde evocano i sei giorni della creazione e preparano il settimo, quello del riposo festivo, il giorno del Signore. Alla domenica, varcando le soglie della chiesa, l’uomo consegna al Signore la vita quotidiana, con le sue gioie e sofferenze e vive il suo incontro di fede. Le maniglie, rigorosamente quadrate, riportano il credente alla realtà della sua umanità, facendogli prendere consapevolezza della distanza che lo separa da Dio e del significato di novità e grazia che tale incontro assume per la vita.
La santissima Trinità
Il primo quadro rappresenta il mistero cristiano della Trinità. La Bibbia si apre con il libro della Genesi: “In principio Dio creò… e vide che ciò era cosa buona”, cui risponde il Vangelo di Giovanni: “In principio era la Parola e la Parola era Dio… Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui”. L’attenzione si concentra sull’inizio, quando il tempo e lo spazio non c’erano ancora. All’inizio c’è Dio solamente, un Dio che esiste da sempre, che è eterno. Ma quale Dio? Il Dio della Bibbia è il Dio Trinità, il Dio che crea con la Parola perché il suo è un cuore d’amore. Il Figlio di Dio, generato ma non creato, della stessa sostanza del Padre, è la Parola che crea; con l’incarnazione diventerà Gesù, l’uomo-Dio. Lo Spirito Santo è il cuore del Padre che ama e lo porta a creare il mondo. Il Dio dei cristiani è, dunque, un Dio unico, costituito da tre persone uguali e distinte: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
L’artista raffigura l’unico Dio in un insieme ternario. Il cerchio include gli altri due elementi e delinea un duplice spazio, quello che sta “al di là ” di esso, che si espande oltre se stesso verso l’infinito e quello che sta “al di qua”, contenuto nel suo interno e racchiuso nel frammento della visione. Il cerchio che tutto avvolge e abbraccia è Dio Padre. La sfera, contenuta nel cerchio, suo prolungamento, ma diversa in forma e dimensioni, è il Figlio di Dio. La sfera è nello stesso tempo il mondo, espressione dell’opera creatrice del Figlio, Parola Dio. In essa sono presenti alcune porosità che alludono al male diffuso nel mondo che ha imbruttito l’uomo e ha spinto il Padre a rinnovare il suo amore verso l’umanità. Egli ha mandato il Figlio che, assumendo la natura umana, ha umiliato se stesso diventando “sfera imperfetta”, segno inequivocabile di umanità. L’amore del Padre si concretizza continuamente nello Spirito Santo, sussulto perenne, elica motrice, forza dinamica, spirale ascensionale, molla che attira a sé e spinge verso l’alto. Al termine della contemplazione si possono ritrovare le forme nella loro semplicità espressiva, sospese in un leggero equilibrio. Con occhio meditativo l’insieme appare come una grande lampada spenta: il mondo. La fiamma è l’uomo adorante, riflesso della luce creativa, che arde, illumina e lentamente si consuma fino a trovare riposo nel mistero eterno di Dio.
Il peccato dell’uomo
Il secondo quadro presenta un cerchio spezzato e proietta nel nostro immaginario la perdita di qualcosa di essenziale. La perfezione divina raffigurata dal cerchio è comunicata all’uomo, come racconta la Bibbia: “L’uomo fu fatto a immagine e somiglianza di Dio”. Tale perfezione che rende l’uomo diverso da tutte le altre creature, consiste nel dono dell’intelligenza che riflette e comprende le cose, della libertà che agisce e può scegliere, della capacità di relazione che permette un dialogo interpersonale che dà spazio all’interiorità e ai sentimenti. Essa tuttavia non è ordinata alle cose, ma ha Dio come punto di riferimento. L’uomo, infatti, è chiamato a dominare le cose conoscendole e ponendole al suo servizio. Non deve sottomettersi a esse, idolatrandole. Deve invece, con la sua attività, trasformare la terra, continuando l’opera creatrice di Dio e realizzando così l’immagine di Dio che porta impressa in se. Dio crea l’uomo sessuato. Anche nella coppia è presente l’immagine divina. L’uomo e la donna sono chiamati a vivere tra loro in una comunione d’amore e a generare la vita, prolungando nel tempo l’atto creativo di Dio. Ma l’uomo realizza se stesso soprattutto entrando in dialogo con Lui, accettando la dipendenza da Lui e vivendo la comunione d’amore con Lui. Con il peccato originale tale somiglianza viene inesorabilmente frantumata: “La donna prese un frutto dell’albero che infonde la conoscenza di tutto e ne mangiò. Lo diede anche a suo marito ed egli lo mangiò. I loro occhi si aprirono e si resero conto di essere nudi… Allora Dio disse alla donna: Moltiplicherò le tue sofferenze… e all’uomo: Con fatica ricaverai il cibo dalla terra finché tornerai alla terra dalla quale sei stato tratto; tu sei polvere e alla polvere ritornerai”.
Dio non vuole né la morte, né la sofferenza, né un lavoro opprimente per l’uomo. Tutte queste cose sono il risultato della scelta di libertà dell’uomo che ha voluto fare a meno di Dio, ha rifiutato di riconoscerlo come Dio, ergendo se stesso a misura di tutte le cose, decidendo da sé ciò che è bene e ciò che è male. Con il peccato l’uomo si separa da Dio, sorgente della vita, perciò va incontro alla morte. Il peccato originale è la radice e il riflesso del male che c’è nel mondo: esso rivive e si rigenera in ogni peccato commesso dagli uomini. Adamo ed Eva sono qualsiasi uomo e donna; sono ciascuno di noi. Guardando il cerchio spezzato, la sensazione che affiora non è di disperazione. C’è sicuramente il disagio di una rottura, di qualcosa che si rompe, ma la struttura d’insieme mantiene la sua circolarità e armonia. È un sottile riferimento alla speranza e alla promessa: la speranza dell’uomo di non essere lasciato solo e abbandonato in balia del male e la promessa di Dio insita nella sua natura di “Essere d’Amore”.
La diffusione del male nel mondo
Nel terzo quadro, schegge impazzite minano all’interno l’ordine e l’equilibrio del mondo creato. Il riflesso della perfezione di Dio, oscurata dal diffondersi del male nel mondo, perde la luminosità e rischia il fallimento. Il richiamo biblico sottostante riporta al racconto di Caino, uomo della violenza, prototipo di ogni uomo violento. Egli massacra il fratello Abele colpendo, con quel gesto violento, il cuore della fraternità. Da quel momento la vita umana diventa insicura e aberrante, la morte incombe da ogni parte, la terra diventa inospitale, l’esistenza un brancolare nella paura: “Chiunque mi trovi, potrà uccidermi”. La violenza e l’assassinio preparano il fallimento della storia. I segni inquietanti si moltiplicano fino al disprezzo di ogni vita: “Se Caino deve essere vendicato sette volte, Lamech lo sarà settanta volte sette”. Il diluvio universale è il risultato della degenerazione dell’intera creazione: “Nel mondo gli uomini erano sempre più malvagi e i loro pensieri erano di continuo rivolti al male, “il mondo era corrotto, dappertutto c’era il male”. L’umanità si autoannienta annegando nel mare dei suoi peccati. La torre di Babele è il segno della volontà di potenza e di gloria dei popoli ed evoca la pretesa dell’uomo di essere autosufficiente, di poter fare tuto da solo, chiuso nel suo orizzonte puramente terreno, di fare a meno di Dio, anzi, di essere lui stesso Dio. Babele diventa il simbolo della confusione, della vanificazione di ogni sforzo umano, della disperazione, della rovina.
Che ne sarà dell’uomo e del suo futuro? La risposta è nella compattezza del cerchio, simbolo della struttura divina della creazione. L’integrità della realtà creata, pur minacciata da atti inconsulti e temerari dell’uomo, è garantita da Dio stesso. Il messaggio di ottimismo e fiducia che ne viene investe anche l’uomo nella sua interezza. Di corpo e anima, lo invita alla responsabilità e, in modo implicito, lo sollecita alla realizzazione di un’ecologia ambientale e spirituale. Tutto questo fa leva sulle risorse stesse dell’uomo che viene stimolato a reagire, a non cadere nel pessimismo, né a inabissarsi nel baratro della disperazione. Il dramma umano resta evidente, ma la speranza ha il sopravvento. Nonostante il male dilaghi nel mondo, il cerchio si mantiene integro ed allude, con la sua interezza, all’avvento della storia della salvezza.
L’annunciazione e il concepimento verginale
Il quarto quadro rappresenta l’annunciazione. Racchiusa nel cerchio del misterioso progetto di Dio di salvare l’umanità, appare una forma slanciata e tondeggiante, con in grembo una piccola sfera appena dischiusa, in cui ci sono i segni del germoglio. È il racconto del concepimento verginale di Maria. Alla voce dell’angelo: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”, la fiamma dello Spirito Santo attizza in lei il fuoco della vita e annuncia il paradosso cristiano della Vergine Madre, figlia del suo figlio. Il privilegio di diventare madre di Dio si accompagna alla promessa del recupero dell’umanità decaduta. La concezione immacolata è il primo passo in questa direzione, l’inizio del compimento. I segni dell’umanità, rappresentati da forme squadrate, perdono le loro spigolosità e assumono un andamento tondeggiante progressivo e sempre più evidente, come se fossero l’eco delle parole rassicuranti dell’angelo: “Non temere Maria, perché hai trovato grazia presso Dio”. Le aperture evidenti nella figura sono anse che svelano il mistero di Dio, ma anche squarci di umanità che rammentano l’ansia e la preoccupazione: “Come è possibile? Non conosco uomo”.
L’immagine della Vergine nel suo insieme, appare in movimento e, nell’elevarsi verso l’alto con dignità e fierezza, esprime la sua adesione di fede: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. Il grande cerchio, presenza di Dio sulla terra, avvolge la scena e la plasma. Nel grande cerchio ricostruito con l’apporto decisivo di Maria, l’umanità ritrova la perfezione e guarda in anticipo il futuro di gloria. Il privilegio di un’unica creatura si estende e diviene promessa di salvezza per tutti gli uomini.
La nascita di Gesù
Il quinto quadro rappresenta la Natività e, in particolare, il momento del parto. Il progetto di Dio si svela definitivamente e si fa storia. Maria “diede alla luce il figlio suo primogenito; lo avvolse in fasce e lo adagiò in una mangiatoia”.
La madre, presentata non più frontalmente ma di profilo, è abbassata sul figlio in atto di adorazione. La Vergine, pur nella sua grandezza, vuole progressivamente scomparire per lasciare il posto al Figlio di Dio. La sfera, infatti, da qualunque angolatura si guardi, appare sempre frontalmente ed esprime in tal modo dignità, regalità e divinità. La Parola di Dio creatrice si fa carne creata. Il mistero di Dio si trasforma nel mistero dell’uomo. La sfera, è il Figlio di Dio dell’inizio, ma anche Gesù, figlio di Maria, sotto la cui cura può crescere “in virtù, sapienza e grazia”. La sagoma della madre sovrasta la sfera come segno di attenzione e protezione. Dio per manifestarsi si incarna nel bambino Gesù, povero e fragile, che per vivere deve assolutamente dipendere dagli uomini iniziando dalle due persone che lo circondano: Maria e Giuseppe.
La fede di Giuseppe
Il sesto quadro mostra una colonna, rappresentazione di Giuseppe, lo sposo di Maria. Si nota subito il superamento del simbolismo della tradizione popolare che gli mette in mano un giglio, segno di verginità, o un bastone che fiorisce al momento della scelta tra diversi candidati dello sposo di Maria da parte del gran sacerdote, come raccontano i vangeli apocrifi. L’accostamento alla colonna ha un sapore teologico ed esprime la solidità della figura di Giuseppe che con responsabilità si mette al servizio del disegno di Dio, diventando segno privilegiato della paternità di Dio. Accettare di restare nell’ombra e di mettersi al servizio del progetto di un altro, può essere facile, quando chi agisce è una persona mediocre, richiede invece una forza interiore non comune, quando si tratta di una persona decisa e di carattere. Nessun dubbio che Giuseppe sia stato una di queste persone. In ogni circostanza difficile agì con prontezza ed energia. Egli fu un umile, uno di quei “poveri del Signore” di cui parla la Bibbia. Si dedicò totalmente al servizio di Dio e delle persone a lui affidate, Maria e Gesù. Discendente di Davide, padre legale di Gesù (e quindi per la legge giudaica suo vero padre), egli si eclissa quando intuisce che la sua presenza è inutile. Il suo titolo di gloria è di essere sempre stato il servo fedele e disinteressato.
La colonna, incoronata con un piccolo cerchio che fa da aureola è il riconoscimento della sua santità, ma soprattutto l’espressione di una paternità che va oltre l’umano e accetta, con fede, di dare casa al Figlio di Dio. La forma geometrica, orientata verso l’alto, conferma la sua identità di credente, capace di affidarsi totalmente al Dio Trinità, evocato dai tre piccoli solidi rettangolari posti a sinistra e iscritti nel grande cerchio come richiamo all’unicità del mistero di Dio. La colonna è inoltre espressione della fede della Chiesa, che prolunga nel tempo l’azione di salvezza di Gesù, espressa nelle parole: “Tu sei Pietro, e su questa pietra, edificherò la mia chiesa”.